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Silvia Gentilini con questa sua mostra, intitolata Sulla porta del reale, offre le sue riflessioni artistiche su un tema che attraversa la cultura, sia orientale che occidentale, dalla notte dei tempi: il passaggio che porta al "reale". Limitandoci solo a quella occidentale, se Platone considerava la "realtà" non quella visibile, di cui si vedeva solo l'immagine, poiché la vera essenza, quella spirituale, vale a dire l'eidos, l'idea, abitava sopra il cielo, immutabile, eterna; a mano a mano che si procede con Aristotele, e molto più tardi, con Kant, Hegel e più vicini a noi, fenomenologi come Husserl e il nostro Antonio Banfi (con la sua "nidiata" di grandi allievi come Enzo Paci, Remo Cantoni, Dino Formaggio) hanno spiegato come le due entità, il reale e lo spirituale, fossero strettamente interrelate. Per cui non aveva senso parlare di forme artistiche più o meno naturalistiche, astratte, e così via; poiché anche ciò che l'occhio percepisce ha un valore temporale, legato indissolubilmente al vissuto dell'artista e alla sua esperienza personale nel tempo in cui opera. Per dirla con il Banfi che recensisce gli Aforismi sull'arte di Konrad Fiedler, "la funzione artistica [deve essere concepita] come creazione e conoscenza di realtà": proprio per tale ragione, e soprattutto, si doveva postulare "una sua autonomia tanto dai valori quanto dai processi psicologici".
Calandoci nell'Artista in questione, cosa significa questo? Silvia Gentilini s'è formata conseguendo la maturità scientifica, poi quella artistica, diplomandosi quindi all'Accademia di Belle arti di Viterbo e con un anno alla Nuova accademia di Milano (Naba). Ha approfondito le tecniche calcografiche a Urbino, studiato la progettazione in 3D, l'illustrazione, la modellazione tridimensionale. E poi ha sviluppato le sue qualità pedagogiche insegnando Discipline pittoriche e Grafica nei Licei artistici e Istituti d'Arte. Tali precisazioni non ci indicano solo gli strumenti con cui ha costruito le sue opere, poiché la tékne, come ritenevano anticamente i Greci, vale a dire ciò che noi indichiamo genericamente con "arte", è un operare con intelligenza, dove v'è tutto il soggetto. Prendiamo dal suo sito gli Sketchbooks, un quaderno di schizzi che rivela la sua maestria nel prendere appunti visivi. Per esempio, uno datato "Ravenna 11 – 7 – 2022" ci mostra con pochi segni una pianta entro un vaso, con le diverse consistenze materiche che pare si fondino in una specie di continuum acquoreo dove tutto fluttua. Un altro spazio del suo sito, Illustration, offre con tratti rapidi a china o con pastelli un mondo variegato comprendente fiori, animali, cose, luoghi (Africa), dove a colpire è la rutilante varietà di colori. Un ragionamento a sé si deve fare per la categoria Drawing. Siano essi sottocategorie di monotipi, di inchiostro e colore o di pura grafite, i segni e i colori che corrono sulle superfici si chiudono sugli oggetti rappresentati, spesso li lacerano e negano loro profondità e sviluppo; li dilatano talvolta nell'esatta durata del tempo di esecuzione, quasi a volerne mostrare un'estrema volontà di emergere: dunque, di esistere. Tutti effetti che ritornano, accresciuti, nella sezione del sito intitolata Painting.
Silvia parte dal 2020, con Semi del papavero da oppio, acrilico e china su carta, dove il contrasto fra le tinte – o meglio: la linea di confine – è dato dalle parti semitrasparenti della china con quelle più pesanti e opache dell'acrilico. Nella serie Verde è…, comprendente Cardi selvatici, Verso primavera, All'improvviso, Estate (2020 – 22, acrilici su carta o su tela) la pittrice sembra indagare l'essenza del verde in un modo che non è quello della natura fisica del colore, ma semmai quello psicologico della Teoria dei colori di Goethe.
E veniamo all'ultima impresa, quella che dà il titolo a questa mostra, Sulla porta del reale, tema su cui Silvia mette le proprie opere in dialogo con quelle di un altro artista. Il concetto della "soglia" tra due realtà si può sintetizzare attraverso varie coppie dialettiche, a seconda delle diverse discipline che si vogliono interrogare: ad esempio io e es, essere e esserci, spirito e materia, immagine e realtà, forma e contenuto, e così via. Ma ciò che più conta non è tanto, o soltanto, credo, escatologicamente, interrogarsi su cosa ci sia "di là di quella porta"; quanto indagare la "linea" di confine fra le due entità: domandarsi quando finisce l'una e comincia l'altra, e viceversa. Prendiamo come modello un dipinto di notevoli dimensioni, da leggersi in verticale, ed esposto a questa mostra. A prima vista parrebbe un quadro completamente astratto, giocato sulle gradazioni del blu e del nero, con radi bagliori gialli e d'un rosso corrusco: un quadro che potrebbe far venire in mente le polifonie cromatiche, per esempio, di un pittore orfico e influenzato dalla teosofia come il ceco Frantisek Kupka. Ma le etichette (astratto, figurativo, orfico, e così via) valgono nulla, perché non penetrano l'intima personalità dell'artista, o del poeta, o dello scrittore: sono solo parole vane. Se poi uno va a vedere più da vicino il quadro della Gentilini, s'accorge che, visto da una posizione angolata come un'anamorfosi, si intravede al centro, in tanta tinta scura di blu e indaco, il volto radioso di un bambino, come una sorta di sindone. Che significato potrà avere nella struttura del pensiero di Silvia? Forse un ricordo, un momento effimero, eppure carico di tenerezza per quel poco, e di inerme, nel vissuto dell'artista? Chi lo sa, bisognerebbe essere Dio per penetrare nell'oscura regione dell'animo di Silvia, come di qualunque altro essere umano, direbbe Borges. Perché quello che possiamo solo vedere è che, in questa soglia, vi sono infinite possibilità di strutture e di dimensioni spazio-temporali, e quindi, come direbbe il grande Carlo Diano, "di figurazione dell'essere e dell'esserci".